di Enrico Giovannini, copresidente dell'Independent Expert Advisory Group delle Nazioni Unite e Professore Ordinario di Statistica Economica - Dipartimento di Economia e Finanza – Università degli studi di Roma “Tor Vergata”
Viviamo in un mondo in cui si affrontano ogni giorno emergenze ambientali, economiche e umanitarie che evolvono velocemente, come ha dimostrato tragicamente anche la recente epidemia di ebola. I governi, le aziende, le ONG e gli individui hanno bisogno di poter accedere a dati di alta qualità per individuare più velocemente le criticità legate a tali problemi, trovare loro una soluzione e verificare l'efficacia degli interventi messi in campo.
Proprio in termini di quantità e qualità, i dati attualmente disponibili non sono affatto soddisfacenti. Infatti, ancora troppi risultano essere i gruppi sociali e le tematiche ignorate dalle rilevazioni statistiche, mentre aumentano sempre di più le diseguaglianze tra i paesi che possiedono e non possiedono dati. Appare, inoltre, incolmabile il gap tecnologico tra il settore pubblico e quello privato, dai quali ha origine gran parte dei dati che vengono poi impiegati per ottenere informazioni utili a livello decisionale.
Ma tutto questo può cambiare, e forse sta già cambiando. I governi, le imprese, i gruppi di ricerca, la società civile e i singoli cittadini sono impegnati come mai nel passato a sperimentare, innovare e adattarsi al nuovo mondo dei dati, un mondo in cui i dati sono infinitamente più tempestivi e precisi. Questo è ciò che si intende con “data revolution”, rivoluzione dei dati.
Alcuni già vivono in questo mondo, ma troppe persone, organizzazioni e governi ne sono invece esclusi, a causa della mancanza di risorse e di conoscenza. Infatti, esistono ancora profonde diseguaglianze riguardo l'accesso ai dati e la possibilità di poterli usare. Inoltre, nonostante i considerevoli miglioramenti degli ultimi anni, vengono ancora ignorati fenomeni che riguardano intere popolazioni, così come non vengono rilevati a livello statistico importanti aspetti della vita umana e delle condizioni del pianeta. Nei confronti dell'individuo, ciò significa violare quanto sancito dai diritti universali dell'uomo, mentre nei confronti del pianeta vuol dire continuare a percorrere la strada del degrado ambientale.
A partire dalla conferenza dell’ONU “Rio+20” del 2012, il mondo ha intrapreso un ambizioso progetto per mettere tutti i paesi su un sentiero di sviluppo sostenibile. A settembre di quest’anno i paesi dell’ONU dovrebbero adottare gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (Sustainable Development Goals – SDGs), verso cui dovranno essere orientate le politiche economiche, sociali e ambientali. Ma come sarà possibile monitorare il progresso verso gli SDGs in modo completo e tempestivo?
Per rispondere a questa domanda, nell'agosto 2014, il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon ha dato vita ad un Independent Expert Advisory Group (IEAG) che studiasse come orientare la rivoluzione dei dati in atto a livello mondiale verso lo sviluppo sostenibile. In due mesi di lavoro, il Gruppo, che ho avuto l’onore di coordinare, ha prodotto il rapporto“A world that counts: mobilising the data revolution for sustainable development” (Un mondo che conta: mobilitare la rivoluzione dei dati per lo sviluppo sostenibile), nel quale vengono proposte varie soluzioni atte a migliorare la qualità dei dati per il raggiungimento prima e il monitoraggio poi, dello sviluppo sostenibile. Oltre che fornire alcune raccomandazioni che vedremo in seguito, il rapporto evidenzia sostanzialmente due grandi sfide globali riguardo i dati:
la sfida all'invisibilità: cercare di colmare con i dati quello che ancora non conosciamo sulla vita di alcune popolazioni, sulle tendenze economiche e sociali, nonché sullo stato del pianeta;
la sfida alla disuguaglianza: assicurare pari opportunità di accesso ai dati e a quello che è necessario sapere per prendere decisioni responsabili.
Con il rapporto abbiamo chiesto alle Nazioni Unite e ai governi di agire urgentemente per permettere ai dati di contribuire alla realizzazione di un vero sviluppo sostenibile, eliminando le diseguaglianze riguardo l'accesso e l'utilizzo dei dati: tra i paesi sviluppati e in via di sviluppo, tra le popolazioni ricche e quelle povere di informazioni, e tra il settore pubblico e privato. Riteniamo, infatti, che per la prima volta sia possibile mobilitare la volontà politica a livello globale sull'importanza dei dati per il bene comune e trovare le risorse finanziarie necessarie per disporre delle tecnologie in grado di trasformare i dati in valore per lo sviluppo sostenibile.
È bene ricordare che la rivoluzione inizia sempre dalle persone e la data revolution non fa eccezione. Infatti, l'indagine svolta dall'IEAG non spiega solo come promuovere una rivoluzione dei dati – che tra l'altro è già in corso – ma anche come impiegarla per lo sviluppo sostenibile, a beneficio di tutti.
Di che cosa si tratta?
I dati sono la linfa vitale dei processi decisionali. Senza di essi, non conosceremmo quante persone sono venute al mondo, quanti uomini, donne e bambini vivono ancora in condizioni di povertà, quanti soldi pubblici sono stati spesi e con quali effetti, se le emissioni di gas serra sono in aumento, se le riserve ittiche nell'oceano si stanno esaurendo, ecc. Per conoscere tutto questo e molto altro è necessario produrre dati di alta qualità che possano essere usati anno dopo anno per confrontare i risultati e i cambiamenti avvenuti nei diversi paesi del mondo. Ciò significa pianificare con attenzione, investire denaro in conoscenze tecniche e in solide infrastrutture e tecnologie, ma significa anche rendere i dati affidabili e accessibili a tutti, educando al contempo gli individui all'utilizzo responsabile dei dati stessi.
Dal 2000, gli sforzi necessari per il monitoraggio degli obiettivi di sviluppo del millennio (Millennium Development Goals – MDG) hanno spronato i governi ad investire maggiormente in strumenti e tecnologie per l'acquisizione e l'elaborazione dei dati statistici. Nonostante i progressi fatti, esistono ancora molte realtà che non vengono monitorate per mancanza di informazioni; una situazione che limita la capacità dei governi di agire e dialogare apertamente con l'opinione pubblica. Basti pensare che, a distanza di mesi dallo scoppio di ebola, è ancora difficile stabilire il numero effettivo dei decessi o localizzarne la provenienza.
La nuova agenda di sviluppo, in accordo con gli SDGs, richiederà la messa in atto di azioni integrate in campo sociale, ambientale ed economico, ma anche un significativo aumento del volume di dati accessibile agli individui, ai governi, alle aziende e alle organizzazioni internazionali al fine di pianificare, monitorare e prendere decisioni responsabili. Per questo, una sfida come quella dell'utilizzo dei dati per uno sviluppo sostenibile determina grandi opportunità. Infatti, grazie alle nuove tecnologie, il volume di dati nel mondo sta aumentando in maniera esponenziale: si stima che il 90% dei dati sul pianeta sia stato generato negli ultimi due anni. Inoltre, come mostrato anche dal Grafico 1, è aumentato sia il volume delle fonti di dati tradizionali che quello delle nuove fonti, così come la disponibilità da parte degli individui al trattamento dei dati che li riguardano.
Ma la “data revolution” può accrescere le diseguaglianze esistenti tra chi possiede gli strumenti per utilizzare i dati e chi invece è privo di tali risorse. Questi rischi devono essere affrontati, salvaguardando allo stesso tempo i diritti umani: la privacy, il rispetto per le minoranze e i diritti degli individui sui dati che li riguardano impongono di bilanciare i diritti delle persone con i benefici della collettività. Infatti, maggiori sono i dati in nostro possesso, maggiori saranno le possibilità di poter nuocere alle persone e all'ambiente, piuttosto che fare loro del bene. Un utilizzo inappropriato dei dati può ledere materialmente un individuo, ad esempio accedendo al suo conto corrente in modo illecito, oppure in maniera immateriale, attraverso minacce e discriminazioni a seguito di informazioni diventate di dominio pubblico. Si può essere danneggiati anche involontariamente, prendendo decisioni sulla base di dati non verificati in precedenza.
Oltre a questo, molte persone possono essere escluse dal nuovo mondo dei dati per una molteplicità di fattori, come la lingua, la povertà, la mancanza di educazione e di tecnologie, oppure per motivi discriminatori o pregiudiziali. Infatti, mentre l'impiego di nuove tecnologie ha avuto un'ampia diffusione negli ultimi dieci anni, per molti i costi legati a tali soluzioni restano ancora proibitivi. In Nicaragua, Bolivia e Honduras, ad esempio, il prezzo di un abbonamento alla banda larga mobile supera il 10% del PIL medio mensile pro capite, rispetto alla Francia e alla Repubblica di Corea, dove invece è inferiore allo 0,1%.
Una società basata sull'informazione non dovrebbe costringere ad una scelta tra l'alimentazione e la conoscenza. Inoltre, in molti paesi, in termini di tecnologie e innovazioni, il settore pubblico fatica a stare al passo con le aziende, che invece sono sempre più in grado di raccogliere, analizzare e utilizzare i dati in tempo reale. Secondo McKinsey, i paesi africani spendono circa l'1,1% del PIL per gli investimenti e l'uso dei servizi internet, meno di un terzo di quello che, in media, viene speso da parte dei paesi più ricchi (nel Grafico 2 viene mostrato come le economie avanzate sono in testa al resto del mondo su ogni indicatore relativo all'accesso e all'uso delle tecnologie digitali).
Nonostante questo, siamo convinti che la rivoluzione dei dati possa essere una rivoluzione per l'uguaglianza sociale. Sempre più “open”, i dati possono aiutare a condividere la conoscenza, creando un mondo di cittadini informati e consapevoli, in grado di prendere decisioni ed essere responsabili delle loro azioni. Si prospettano grandi opportunità davanti a noi e il cambiamento sta già avvenendo, ma se la nostra visione è quella di un mondo dove i dati e le informazioni aiutano a ridurre le diseguaglianze anziché aumentarle, allora siamo ancora ben lontani dal nostro obiettivo.
Il rapporto contiene numerose raccomandazioni per muoversi nella direzione auspicata, minimizzando i rischi e aumentando le opportunità derivanti dalla “rivoluzione”. Ad esempio, suggerisce alle Nazioni Unite di assumere la leadership e il coordinamento delle varie iniziative in atto, per consentire alla rivoluzione dei dati di supportare efficacemente lo sviluppo sostenibile, migliorando la cooperazione tra i vecchi e i nuovi data provider al fine di stabilire degli standard etici, giuridici e statistici atti a migliorare la qualità dei dati, proteggendo al contempo gli individui da eventuali abusi derivanti dal loro utilizzo. Inoltre, propone di mobilitare appropriate risorse per superare le disuguaglianze tra i paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo, oltre che tra le popolazioni “povere” e quelle “ricche” di dati (se ne discuterà alla terza conferenza internazionale sui finanziamenti dedicati allo sviluppo, in programma ad Addis Abeba, Etiopia, a luglio 2015). Infine, il Rapporto propone al sistema statistico internazionale numerose iniziative per promuovere l'innovazione e soddisfare il fabbisogno di dati, ad esempio creando un laboratorio globale per fondere insieme le fonti di dati tradizionali e quelle innovative (come ad esempio i Big Data).
Spetta ai governi mettere in campo regole nuove e i sistemi per realizzare tale visione, lavorando con le parti interessate, a livello nazionale, regionale e globale. I governi, attraverso il sistema legale che essi stessi rappresentano, sono i garanti finali del bene pubblico. Sono sempre i governi – lavorando idealmente in collaborazione con le istituzioni private, la società civile e l’accademia – a poter fissare e rafforzare i quadri giuridici, garantendo riservatezza e sicurezza dei dati a nome degli individui, oltre che assicurare la loro qualità e indipendenza. Sono nuovamente i governi a poter bilanciare gli interessi pubblici e privati e creare dei sistemi che favoriscano la nascita di strutture utili per un impiego sicuro e responsabile dei dati. Infine, sono ancora i governi ad essere eletti per rispondere ai cittadini sulle loro scelte e priorità.
Per ulteriori informazioni sul report e sul lavoro dell’IEAG: www.undatarevolution.org.